venerdì 22 febbraio 2008

OSTEOPOROSI:LA CURA "UNA VOLTA" ALL'ANNO

Osteoporosi: la cura «una volta» all'anno
Arriva anche in Italia una nuova modalità di trattamento (solo ospedaliera) in infusione
MILANO - Una infusione all’anno contro l’osteoporosi. E’ l’ultima novità in arrivo per contrastare la malattia che rende fragili le ossa, esponendo al rischio di fratture, soprattutto del femore e delle vertebre, in particolare le donne anziane. L’infusione in questione è a base di acido zoledronico alla dose di 5 milligrammi, e potrà essere prescritta a praticata solo in ospedale. Secondo i dati resi noti in occasione della presentazione del farmaco la riduzione di fratture arriverebbe al 35% . In Italia ogni anno si stimano circa 80 mila casi di persone che vanno incontro a frattura al femore, e che nel 25% dei casi, soffrono una seconda frattura. Spiega Umberto Tarantino, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore- Università degli Studi di Roma Tor Vergata: «Il fenomeno delle ri-fratture è correlato al fatto che la maggior parte delle pazienti, dal 40 al 60%, non si presentano nemmeno alla prima visita di controllo in ospedale, un mese dopo l’intervento al femore; non seguite adeguatamente, le pazienti vanno incontro alle note ulteriori complicanze e rifratture. Va poi considerato che tra le pazienti che iniziano un trattamento terapeutico, registriamo un tasso di aderenza alla terapia inferiore al 50% (cioè meno di 6 mesi/anno) che, secondo evidenze cliniche, non genera alcuna protezione dalla ri-frattura».

COSTI - Ogni infusione costa 280 euro, totalmente a carico del Servizio Sanitario. Un prezzo considerevole, che però, secondo gli esperti presenti alla conferenza stampa di presentazione del farmaco a Milano il 19 febbraio, sè compensato dal risparmio complessivo che si può conseguire sul fenomeno fatture. Il rischio di fratture e ri-fratture da osteoporosi spesso non adeguatamente diagnosticato e trattato comporta infatti- è stato sottolineato- costi notevoli per il Servizio sanitario. In Italia per il 2009 si stimano costi a carico del Ssn per fratture e ri-fratture al femore pari a circa 1.211 milioni di Euro, di cui 212 milioni solo per le ri-fratture. «Il trattamento farmacologico in monosomministrazione annuale rappresenta la soluzione. Trattare tutti i pazienti che subiscono una frattura di femore con l’acido zoledronico una volta l’anno, ridurrebbe le ri-fratture di femore del 30%, diminuendo quindi anche i decessi successivi, assicurando un’aderenza alla terapia del 100% e con un risparmio netto valutato in circa 50 milioni di Euro/anno per il Servizio sanitario nazionale, è il primo farmaco che, pur dimostrando una maggiore efficacia rispetto alle terapie esistenti, ha un costo più basso dei generici» ha spiegato Silvano Adami, docente di Reumatologia all'università di Verona e direttore del Centro di riferimento regionale per l'osteoporosi di Valeggio sul Mincio (Verona).
«Una soluzione per un problema difficile - conferma Umberto Tarantino, ordinario di Malattie dell'apparato locomotore all'università di Roma Tor Vergata - Oggi, infatti, almeno il 40% degli oltre 80 mila pazienti italiani colpiti ogni anno da una frattura al femore viene trattato per la frattura, ma non per l'osteoporosi». Dopo le dimissioni «il 40-60% dei malati sfugge anche alla prima visita di controllo in ospedale, e fra i pazienti in terapia antiosteoporosi il tasso di aderenza al trattamento è inferiore al 50% e sotto al 27% nella metà delle donne in cura». Risultato: entro tre anni il 25% incorre in una seconda frattura».

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MALATTIA DELL'INSONNIA FAMIGLIARE

Fu italiano il primo «uomo senza sonno»
L'Abc svela in tv che il paziente zero della «Fatal familiar insomnia» fu un medico italiano morto nel 1765
NEW YORK (USA) - Hollywood ci aveva già pensato. Inventando un thriller dal titolo accattivante: «L'uomo senza sonno». In cui un sempre più sgomento Christian Bale scopriva di non riuscire più a dormire, per mesi. Sprofondando lentamente nel delirio. Ma come spesso accade la realtà supera la fantasia.
L'emittente televisiva americana Abc trasmette infatti oggi un programma dedicato a una rarissima malattia genetica, fatale e, a quanto pare, portata in America da un italiano. Si tratta dell'FFI, ovvero la «Fatal Familiar Insomnia» l'Insonnia familiare fatale.

LA MALATTIA - Chi ne è affetto cerca di dormire, ma non può. La malattia costringe le persone a vivere per mesi in una sorta di incubo, finchè non sopraggiunge il decesso. È una condizione rarissima, riscontrata in 40 famiglie in tutto il mondo. I ricercatori pensano sia stato un ricco medico italiano, primo portatore inconsapevole della mutazione genetica, a dare origine alla FFI, 250 anni fa. Gli esperti lo chiamano il Paziente Zero, il primo caso noto della malattia. Quando morì nel 1765, aveva trasmesso la malattia ai figli e così la mutazione cominciò a diffondersi. La storia viene raccontata dal ricercatore D.T. Max nel libro «The Family That Couldn't Sleep». Max ha studiato i documenti che mostrano, attraverso il 18mo, 19mo e 20mo secolo, le morti legate alla FFI nelle generazioni derivate dalla famiglia del Paziente Zero. Fino ad arrivare agli Anni Ottanta, quando un discendente della famiglia, Silvano, improvvisamente ha iniziato a manifestare i segni della malattia. Studiato alla clinica del sonno dell'Università di Bologna, Silvano è morto ma ha donato il cervello alla scienza, permettendo di comprendere meglio i meccanismi dietro alla FFI.

COME SI SCOPRE LA MALATTIA - «Nel giro di un mese, è facile accorgersi di avere una malattia come nessun'altra», dice D.T. Max . «Innanzitutto, - sostiene - non si riesce più a dormire. Poi, non si riesce a camminare, a concentrarsi su niente. Di solito, nel giro di nove mesi, si muore». Secondo il Dr. Elio Lugaresi, direttore della clinica del sonno dell'Università di Bologna, Silvano e le altre persone della sua famiglia affette dalla FFI non potevano cadere nella fase REM del sonno. La cura con i sonniferi non serviva. Gli scienziati che hanno studiato il cervello di Silvano hanno però potuto capire che cosa accade ai neuroni dei malati di FFI: le normali proteine presenti nella materia cerebrale si spezzavano a causa delle mutazioni genetiche creando i prioni. Queste proteine anomale si accumulavano nel cervello, formando grappoli che distruggevano i neuroni, lasciando nel cervello dei buchi, simili a quelli di una spugna. «Nella FFI la maggior parte del danno, ovvero la regione del cervello dove si accumulano i prioni, sembra essere nel talamo», spiega il Dr. Michael Geschwind, che studia la FFI alla University of California di San Francisco. L'accumulo di prioni nel cervello danneggia le cellule nervose, fino a ucciderle. Per ragioni non note, i sintomi della FFI emergono solo nella mezza età, di solito quando le persone hanno già avuto figli. Ogni figlio ha una chance del 50% di avere il gene killer. Comunque, un test del sangue permette di scoprire se un individuo ha ereditato la malattia dai genitori.

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CAMPAGNA DEL VACCINO ANTI-PAPILLOMA VIRUS

Al via la vaccinazione anti-Hpv
Entro marzo al via in 16 regioni. Entro giugno le altre. Lo scopo è ridurre il tumore del collo dell'utero
ROMA - E' partita la campagna di vaccinazione pubblica gratuita contro il Papilloma virus (HPV), che può favorire il cancro della cervice uterina. Il vaccino è offerto a tutte le bambine nate nel 1997. (sono circa 280mila). In nostro Paese è il primo in Europa a intraprendere una iniziativa di questo genere. Lo scopo - spiegano al ministero della Salute- è di ottenere una forte riduzione di questa malattia nelle prossime generazioni.

ANCHE IN FARMACIA - Il vaccino è inoltre disponibile a pagamento in farmacia, dietro prescrizione medica, ed è destinato alle donne che non hanno ancora contratto l'infezione da HPV. Prima di ricorrere alla vaccinazione è quindi importante fare un Pap-test per essere sicuri di non avere già contratto l'infezione. È opportuno ricordare che il vaccino affianca ma non sostituisce lo screening periodico della cervice uterina, attualmente raccomandato per le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni, perchè protegge dalle lesioni causate solo da alcuni genotipi di HPV oncogeni; per tutti gli altri genotipi oncogeni l'unica prevenzione resta il Pap-test.


CAUTELE - Il vaccino contro l'HPV secondo le informazioni scientifiche oggi disponibili - si fa sapere al ministero della Salute - è sicuro, ben tollerato e in grado di prevenire nella quasi totalità dei casi l'insorgenza di un'infezione persistente dei due ceppi virali responsabili attualmente del 70% dei casi del tumore della cervice uterina. Dovrà essere osservata una particolare cautela alla somministrazione del vaccino in donne in età fertile, poichè, sebbene nelle gravidanze insorte durante gli studi clinici dei due vaccini non sia stato rilevato alcun impatto negativo sulla fertilità in termini di incidenza di aborti spontanei, morti intrauterine e anomalie congenite, i dati attualmente disponibili non sono sufficienti per raccomandarne l'uso in gravidanza..

IL VIRUS - Esistono circa 120 «genotipi» del virus HPV che infettano l'uomo, un terzo dei quali associato a patologie del tratto anogenitale, sia benigne che maligne. Dei 120 genotipi, il tipo 16 è associato a circa il 50% dei casi di tumore alla cervice uterina, il tipo 18 del 20% e i restanti genotipi di circa il 30%. I genotipi 6 e 11 sono responsabili del 90% dei condilomi genitali. L'infezione da HPV è più frequente nella popolazione femminile. Si calcola che il 75% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita con un virus HPV, e fino al 50% con un tipo oncogeno. Ci vogliono però molti anni perchè le lesioni provocate dall'HPV si trasformino, e solo pochissime delle donne con infezione da papilloma virus sviluppano un tumore del collo dell'utero. La maggior parte (70-90%) delle infezioni da HPV è, infatti, transitoria e guarisce spontaneamente senza lasciare esiti. L'intervallo di tempo che trascorre tra l'infezione e l'insorgenza delle lesioni precancerose è in genere di circa cinque anni, mentre la latenza per l'insorgenza del carcinoma cervicale può essere di decenni .

LA PREVENZIONE - Le regioni in cui il vaccino sarà disponibile entro marzo saranno 16:Abruzzo, Basilicata, Valle D'Aosta, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto, Sardegna. Entro il mese di aprile: Umbria, Bolzano.Entro il mese di maggio: P.A.Trento. Entro il mese di giugno: Friuli Venezia Giulia, Marche.

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sabato 16 febbraio 2008

IL CELLULARE PUO' PROVOCARE TUMORI

Troppo telefonino può aumentare
i tumori delle ghiandole salivari
Studio israeliano: l'incremento si verifica dal lato del volto in cui si utilizza di più
TEL AVIV - Un uso eccessivo del cellulare aumenta il rischio di tumori alle ghiandole salivari. Lo ha scoperto una ricerca israeliana pubblicata sull'American Journal of Epidemiology, secondo cui il rischio aumenta del 50 per cento. I ricercatori hanno esaminato 500 pazienti affetti da tumori benigni e maligni delle ghiandole salivari, facendo loro compilare un questionario sulle abitudini nell'uso del telefonino. Le risposte sono state confrontate con quelle di 1300 individui sani di controllo. Quelli che hanno dichiarato di usare molto il telefonino hanno mostrato un rischio doppio di sviluppare il tumore di quelli che non lo usano affatto. A conferma dei risultati, i tumori si sviluppano proprio dal lato dove si usa di più l'apparecchio, e sono più frequenti in campagna dove la scarsità di ripetitori dà vita a radiazioni più intense. «Questo risultato non dice che il telefonino non va usato - spiega Siegal Sadetki, autrice dello studio - ma che vanno usate delle precauzioni, soprattutto da parte di chi lo usa molto e dei bambini». Si tratta dell'ennesimo studio che richiama l'attenzione sui rischi di un uso eccessivo del cellulare in chiave cancerogena, così come di potenziali altri fattori di rischio. Un'analisi compessiva può essere trovata su Sportello Cancro

http://www.corriere.it/salute/08_febbraio_15/tumori_telefonino_187f04a8-dbd4-11dc-ad63-0003ba99c667_print.html

TUMORI-CAUSE CHE LO POSSONO PROVOCARE

Cellulari, protesi al seno, caffè: assolti, però…Uno studio li solleva dall'accusa di provocare tumori. Ma è solo l’ultima puntata di una saga infinita. Ecco come stanno davvero le cose. STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO


Caffè, telefoni cellulari e protesi al seno assolti con formula piena, seppure in assenza di prove certe, dall’accusa di provocare il cancro. Colpevoli invece, dati alla mano, fumo, alcol ed esposizione incontrollata al sole. Sono i risultati di un nuovo studio sui più conosciuti o discussi “fattori di rischio”, ovvero gli stili di vita e gli agenti ambientali che possono aumentare la probabilità di sviluppare un tumore.

A pronunciarsi in modo così deciso, dalle pagine della rivista Mutation Research Reviews è Bernard Stewart ,un oncologo australiano che ha messo a punto un nuovo sistema di classificazione di abitudini e sostanze cancerogene, catalogate in base ad un rischio-tumore definito come scientificamente provato, probabile, dedotto, sconosciuto o improbabile. Nella prima categoria (quella dei cancerogeni accertati) rientrano, insieme al condannato trio fumo-alcol e raggi Uva (ultravioletti), anche l’esposizione all’amianto e la contaminazione di cibi e bevande con benzene.
Mentre nell’ultima, fra i cancerogeni improbabili, troviamo, fra gli altri, caffè, deodoranti, dolcificanti come l’aspartame, campi elettromagnetici, telefoni cellulari e protesi mammarie: per ora non esiste, secondo Stewart, alcuna prova cha favoriscano l’insorgenza di un tumore.

Tutto chiaro, quindi. Fino alla prossima ricerca o al prossimo titolo di giornale. Perché, in effetti, le notizie sui possibili pericoli oncologici o su nuovi alimenti e relativi atteggiamenti “salvavita” si susseguono quasi incessantemente, a volte con versioni contrastanti, creando confusione fra i lettori, che corrono il rischio di dover rivoluzionare abitudini quotidiane e frigorifero a ogni nuova pubblicazione. La soluzione però esiste e, come spiega Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, è semplice: «Evitare gli eccessi. La moderazione nella dieta e nello stile di vita è la prevenzione migliore non solo contro i tumori, ma nella lotta a qualsiasi altra patologia».




ALIMENTAZIONE E GINNASTICA – Una “dieta intelligente” è fondamentale per la prevenzione di un tumore, ma da sola non basta: deve essere accompagnata da un’attività fisica regolare. «Un’alimentazione corretta – dice Bonanni -, indipendentemente dal cancro, deve comunque essere mista, variegata e deve soltanto evitare l’abuso di determinati elementi, primi fra tutti i cibi grassi e i fritti, il consumo esagerato di zuccheri o di carni rosse cotte alla brace. E dev’essere ricca di frutta e verdura».
Invito al “buon senso” anche per quel che riguarda the, caffè ed altre sostanze contenenti caffeina, che non sono comunque considerate nocive. «In realtà serviranno molti anni e molte ricerche per dimostrare che un determinato alimento o un certo tipo di dieta possa, da solo, ridurre il rischio di sviluppare un tumore. Ma è da tempo evidente che delle buone abitudini di vita aiutano a restare sani: il soprappeso, ad esempio, si è già dimostrato dannoso per la salute del nostro apparato cardiocircolatorio e di quello muscolo-scheletrico».

FUMO E ALCOL – Sigaro, sigaretta o tabacco da pipa non fa differenza, il fumo è comunque un pericolo accertato per moltissime forme di tumore. E va evitato, sempre e comunque. Per gli alcolici, invece, torna valido l’invito alla prudenza: nulla in contrario a un bicchiere di vino o di birra durante i pasti o a un cocktail durante il weekend, mentre è particolarmente pericoloso l’eccesso di superalcolici (due o più drink al giorno), un problema che – secondo studi recenti – è tanto più grave perché interessa soprattutto ragazzi giovani e adolescenti.

RAGGI UVA – Che provengano direttamente al sole o dal “lettino” di un centro abbronzante, i raggi ultravioletti sono un fattore di rischio per il melanoma e altre forme di neoplasie della pelle. Sotto accusa però è, ancora una volta, soltanto l’esposizione esagerata: nelle ore centrali della giornata, senza creme protettive, per molte ore. Qualche attenzione in più per le persone con una carnagione chiara, che si scottano con maggiore facilità.

TELEFONI CELLULARI – La maggior parte pubblicazioni scientifiche lo dimostra: non esiste nessun aumento di rischio significativo che leghi l’uso dei telefonini allo sviluppo di tumori cerebrali o del nervo acustico. Neppure la più vasta ricerca finora condotta, che ha coinvolto 420mila persone, ha fornito alcuna prova in tal senso, anche dopo 10 anni di utilizzo del cellulare. Ma gli specialisti raccomandano comunque di non farne un uso eccessivo (anche perché restano sconosciuti gli effetti a lungo termine). Alla stessa rassicurante conclusione è giunto un recente studio giapponese, condotto dalla Women's Medical University e pubblicato dal British Journal of Cancer, che ha analizzato i casi di 322 persone con i tre più diffusi tipi di tumore cerebrale (glioma, meningioma e adenoma pituitario) e di 683 persone sane. I ricercatori hanno valutato ciascun soggetto in base al numero di anni trascorsi utilizzando un cellulare e al tempo speso a parlare al telefonino ogni giorno. Studiando nel frattempo le radiazioni emesse dai vari tipi di cellulare e collocandole in quattro categorie in base alla potenza delle radiazioni stesse. Inoltre hanno analizzato come ogni telefono cellulare sia in grado di influenzare diverse aree del cervello senza trovare nessuna associazione tra l'uso del telefono cellulare e il cancro.

PROTESI AL SENO - Dati confortanti provengono anche dalle numerose ricerche sull’utilizzo di ricostruzioni plastiche con protesi mammarie, che dimostrano come non ci sia alcuna controindicazione al loro impiego né alcun legame provato con l’insorgenza di carcinomi.




CONSIGLI - Conclude Bonanni: «Più della metà delle neoplasie sono direttamente o indirettamente correlate con il tabacco e un regime alimentare non corretto. Teoricamente l’abolizione del fumo, una dieta più appropriata, una vita più sana in un ambiente meno inquinato possono drasticamente ridurre l’incidenza del cancro. In ogni caso, per avere certezze a favore o contro un singolo alimento o una certa abitudine, servono studi approfonditi, che durino molti anni e vengano condotti su un’ampia parte di popolazione. Per questo la regola migliore, valida per tutti, è adottare uno stile di vita moderato».
E’ poi importante sapere che già oggi in alcuni centri specializzati è possibile accedere a programmi di “prevenzione personalizzata”, calcolata sul rischio che ognuno di noi corre, in base alla propria predisposizione genetica e al proprio assetto ormonale, alla familiarità, all’età, al sesso, all’ambiente in cui vive e alle abitudini quotidiane e alimentari.
Vera Martinella
06 febbraio 2008
http://www.corriere.it/sportello-cancro/articoli/2008/02_Febbraio/06/cancerogeni.shtml